I manicomi mi piacciono.
Aspé, aspé, fatemi spiegare: appena ho avviato The Stone of Madness, l’idea di giocare un'avventura ambientata in un manicomio spagnolo del XVIII secolo ha subito catturato la mia attenzione. Un monastero imponente, claustrofobico, che funge anche da asilo per reietti della società - un concept che sa di tensione, segreti e disperazione. L’idea di base è senza dubbio intrigante: si percepisce un senso di inquietudine strisciante nei corridoi, accompagnato dall’eco lontano di abiti che frusciano e chiavi che girano in pesanti serrature. Pochi fotogrammi introduttivi e qualche riga di testo et voilà: tanto basta a suggerire il caos che serpeggia tra le mura dell’istituto, dove la paranoia è all’ordine del giorno e la sanità mentale è un lusso per pochi.
Strategia, stealth e pazzia
Se avete passato tante ore della vostra vita su giochi tattici e strategici a turni, potreste trovare interessante il mix di meccaniche proposto da The Stone of Madness. Il gioco offre una gestione in tempo reale (con possibilità di pausa) e meccaniche di infiltrazione, mettendoci al comando di un gruppo di detenuti, ognuno con abilità peculiari - scassinatori, energumeni pronti a sfondare porte, maestri del sotterfugio. L’obiettivo? Coordinare la fuga evitando (o affrontando) le guardie che pattugliano il monastero.
Sulla carta, sembra un sistema capace di stimolare pianificazione e strategie creative sfruttando le singerie tra abilità e approcci unici per ogni scenario. Peccato che, nella pratica, tutto risulti meno rifinito di quanto ci si aspetterebbe. Il cast di personaggi prometteva varietà e profondità, ma alla fine della fiera sono poco più che pedine su una scacchiera. Nel trailer si intravedeva una compagnia di reietti potenzialmente ricca di storie e sfumature, ognuno con segreti o demoni personali. Nel gioco, però, rimangono superficiali. I loro retroscena non si sviluppano in modo significativo e i dialoghi sono ridotti al minimo, spesso più simili a rapide battute che a vere conversazioni. Un’occasione sprecata per dare più spessore all’atmosfera già suggestiva del monastero.
La follia come meccanica… scricchiolante
Uno degli elementi più intriganti di The Stone of Madness è la gestione della sanità mentale. Ogni personaggio ha una barra della follia che si riempie con il tempo e gli eventi traumatici, influenzando il comportamento e le capacità del gruppo. In teoria, un sistema così dovrebbe aumentare la tensione e rendere ogni decisione più significativa. In pratica? È un’arma a doppio taglio.
Con un party numeroso, il micromanagement della sanità mentale diventa presto un incubo (e no, non uno di quelli che potrebbe fare da perfetto sottofondo al gioco). Ti ritrovi a controllare chi sta per avere un crollo nervoso, chi è già fuori di testa e chi sta lentamente scivolando nel baratro mentre provi a portare avanti l’azione. A rendere il tutto più frustrante c’è un’interfaccia utente che non brilla certo per chiarezza, trasformando quella che dovrebbe essere una sfida strategica in un estenuante lavoro di babysitting.
Interfaccia e gameplay: si poteva fare di più
L’UI fa il suo dovere, ma senza particolari guizzi di qualità. In un gioco che si basa su movimenti coordinati e pianificazione stealth, avrei preferito strumenti più precisi per gestire i personaggi. Se siete abituati a vecchi strategici con interfacce spartane, probabilmente non avrete grossi problemi, ma è innegabile che una maggiore attenzione alla fluidità avrebbe migliorato l’esperienza complessiva.
Direzione artistica: Goya meets Ultima?
Se c’è un aspetto che merita una menzione speciale, è lo stile grafico. Gli sviluppatori si sono ispirati all’arte di Goya, dando al gioco un’estetica vibrante e alla "Ultima" (alzi la mano chi si ricorda di Ultima Online) che crea un contrasto interessante con le atmosfere oscure della trama. Il risultato è peculiare: il monastero non appare mai troppo cupo o opprimente, evitando quell’effetto di pesantezza che un’ambientazione del genere potrebbe facilmente trasmettere.
La pazzia è nelle recensioni altrui?
The Stone of Madness aveva tutte le carte in regola per essere un’esperienza avvincente, capace di mescolare tattica, infiltrazione e psicologia. L’ambientazione è originale e trasuda atmosfera, ma la narrazione resta in superficie, i personaggi non riescono a emergere e la gestione della sanità mentale, per quanto interessante sulla carta, si rivela più macchinosa che immersiva.
Siccome la recensione del titolo è uscita in ritardo rispetto alla sua pubblicazione (28 Febbraio), parallelamente alla scrittura sono andato a vedere che valutazioni avesse The Stone of Madness sui vari canali e sono rimasto sorpreso di vedere voti eccellenti e recensori pronti a cospargersi di cenere ed a gridare "al miracolo". Ok, forse sto calcando un po' la mano, ma considerato anche il prezzo alla scrittura della recensione di 28,99€ su Steam ed un massimo di 30 ore di gioco per completarlo, merita solo se vi piacciono gli strategici e i giochi d’infiltrazione e siete disposti a passare sopra a qualche (diversi) difetto(i), potreste trovare momenti di autentica tensione e soddisfazione. Ma non posso fare a meno di pensare a quanto più coinvolgente sarebbe stato il tutto se solo la storia, i personaggi e il gameplay fossero stati curati con maggiore attenzione e se il gioco fosse stato più lungo.
7.3Voto KotaWorld.it9Grafica5Gameplay8Ottimizzazione