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PEPPERED - Una possibilità, mille derive (La Recensione)
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PEPPERED - Una possibilità, mille derive (La Recensione)

 

PEPPERED è uno di quei titoli che non ti accorgi di aspettare, finché non ti travolge con la forza di una verità scomoda in un mondo pixelato e profondamente assurdo. Pubblicato nel cuore di una stagione videoludica affollata dallo studio indie Mostly Games, questo platformer esistenziale si distingue come un esperimento narrativo audace, uno di quelli che prendono le regole del medium e le triturano con un sorriso inquietante. È un’opera che trasuda originalità da ogni poro, capace di passare dal demenziale al disturbante nel giro di una manciata di pixel. PEPPERED ci ha conquistati con ciò che conta davvero: scrittura brillante, scelte significative e la sensazione persistente di vivere un’allucinazione condivisa.

 

 

Nonsense e nichilismo

 

L’incipit è semplice, ma straordinariamente efficace: l’umanità è sull’orlo del collasso e nessuno sembra preoccuparsene.

Tranne te (cit. Fabri Fibra 2010).

Sei un intern qualunque, relegato in un cubicolo grigio, ma qualcosa dentro di te scatta e decidi di fare l’impensabile: salvare il mondo. Il risultato? Ti ritrovi bollato come terrorista, braccato da polizia, cittadini armati e giornalisti a caccia di sensazionalismo.

 

 

PEPPERED però non è un semplice racconto distopico. È un labirinto narrativo che cambia forma ad ogni bivio, e ogni fallimento o successo apre nuove porte, conduce a nuove scene, personaggi, ambientazioni o addirittura meccaniche di gioco. Dalla fuga in carrello della spesa al duello di dialettica con un pazzo da strada, dalla segretezza totale al caos incontrollabile, ogni run diventa un racconto diverso. Ogni giocatore finirà in un luogo diverso, non solo nel mondo di gioco, ma dentro se stesso.

Il fallimento qui non è mai punitivo: è l’altra faccia del progresso. Sbagliare significa assistere a un nuovo pezzo di puzzle, per non perdere l’occasione di vedere il quadro completo.

 

 Run. Jump. Die. Scream. Repeat.

 

A livello meccanico, PEPPERED è tanto spietato quanto inconsistente. Il platforming è il punto più controverso dell’esperienza: i comandi sono rigidi, talvolta imprecisi, e la fisica del gioco sembra rispondere a logiche tutte sue. Il sistema di controllo può diventare frustrante, specie nei momenti ad alta tensione dove il tempismo è tutto, e un salto sbagliato può voler dire molto di più di una semplice caduta.

 

 

Le sezioni stealth offrono alternative: puoi passare inosservato, scatenare l’inferno o trovare soluzioni assurde, a volte puramente comiche, altre sorprendentemente ingegnose. Il bello è che qualsiasi approccio lasci una traccia nel mondo. Non c’è reset. Non c’è “riprova”. C’è solo la conseguenza.

I combattimenti con i boss, in particolare, sono una delle idee più brillanti e crudeli: se perdi, hai perso. Il gioco non ti dà una seconda possibilità. Ma invece di bloccarti, il mondo accetta la tua sconfitta e va avanti, cambiando, e forse anche peggiorando, proprio a causa tua. È una filosofia rara nel videogioco contemporaneo, che invece tende a coccolare il giocatore.

PEPPERED ti guarda negli occhi e ti dice: “hai fallito. E adesso?”.

 

 

Umorismo disperato e saggezza da marciapiede

 

Se il gameplay può dividere, la scrittura è ciò che unisce. PEPPERED vanta una delle penne più brillanti del panorama indie recente. I dialoghi sono taglienti, autoironici, eppure capaci di toccare corde emotive sincere. Un momento stai ridendo per un riferimento a un classico indie del 2010 (i fan coglieranno la strizzata d’occhio), e il momento dopo ti trovi di fronte a una riflessione disarmante sulla solitudine o sulla ricerca di senso in un mondo che ha smesso di cercarlo.

I personaggi secondari, grotteschi e memorabili, sembrano tutti usciti da un teatro dell’assurdo. Nessuno è davvero normale, eppure tutti, a modo loro, sembrano dire qualcosa di profondamente reale. C'è una vena nichilista sotto l’umorismo, un’eco malinconica dietro ogni gag. È un equilibrio difficile da trovare, e il gioco riesce a mantenerlo sorprendentemente bene.

 

 

Certo, qualche battuta è abusata, come l’ormai famoso “INTENSIFIES”, che dopo la terza volta diventa meno efficace... ma è un piccolo prezzo da pagare per un’opera che, nel complesso, riesce a dire qualcosa di nuovo con una voce tutta sua.

Lontano dai tripla A lucidi e levigati, PEPPERED sceglie una direzione artistica che abbraccia il caos. Lo stile visivo è lo-fi, volutamente imperfetto, ma anche ricco di personalità. Ogni ambiente sembra disegnato da una mente sovraccarica di idee e sarcasmo: si passa da uffici opprimenti a foreste psichedeliche, da sotterranei industriali a città in rivolta.

 

In conclusione

 

PEPPERED non è un gioco da consigliare a cuor leggero. Non lo è perché non ti fa sentire potente, né ti offre il conforto del “try again”. È un gioco che ti prende a schiaffi e poi ti guarda mentre decidi se rialzarti o restare a terra. Per alcuni sarà una rivelazione. Per altri, un incubo frustrante. Ma per chi riesce ad accettarne le regole e abbracciare il suo spirito anarchico, PEPPERED può essere un’esperienza catartica. È un racconto interattivo sulla sconfitta, sul caos e sulla bellezza accidentale che può nascere anche quando le cose vanno male.

Ah, e sì,  c’è anche una sedia da ufficio su cui puoi girare in eterno. E in quel gesto inutile e ripetitivo, forse, c’è tutto il senso del gioco.

 

 

8Voto KotaWorld.it7.5Grafica7Gameplay8.5Ottimizzazione9Scrittura

 

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