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 Into the Dead: Our Darkest Days - Un lento strisciare nell’inferno texano (Recensione Early Access)
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Into the Dead: Our Darkest Days - Un lento strisciare nell’inferno texano (Recensione Early Access)

 

In un mare di titoli survival che cercano di cavalcare il successo dei non-morti, Into the Dead: Our Darkest Days riesce a ritagliarsi una propria identità grazie a una struttura a scorrimento laterale in tempo reale, una forte enfasi sulla strategia e una narrazione ambientale molto riuscita. Sviluppato dallo studio PikPok, noto per i suoi precedenti lavori su mobile, questo progetto si presenta come un ambizioso passo in avanti nel mondo PC e console, e lo fa con un titolo in accesso anticipato che ha già molto da offrire, ma che mostra chiaramente margini di crescita e aspetti ancora da limare.

 

 

Benvenuti a Walton City

 

Ambientato nel Texas del 1980, il gioco ci catapulta in una Walton City devastata da un'epidemia zombie. Un tempo metropoli costiera vivace e pulsante, ora la città è ridotta a un cumulo di rovine arroventate da un'estate implacabile e da un collasso economico totale (molto simile all'estate che ci attende nel 2025 probabilmente). I pochi sopravvissuti, comuni cittadini colti alla sprovvista dall'orrore, sono isolati e abbandonati a loro stessi. Il nostro compito sarà quello di radunare un gruppo, fortificarlo, proteggerlo, ma soprattutto portarlo in salvo, rifugio dopo rifugio, in una fuga che non garantisce mai un vero approdo.

 

 

Into the Dead: Our Darkest Days rinuncia volutamente a una trama tradizionale fatta di filmati e dialoghi guidati per abbracciare un approccio narrativo silenzioso e potentemente visivo. Non c'è una "storia" lineare da seguire, quanto piuttosto un mondo in frantumi da esplorare, interpretare e vivere. Ogni edificio, ogni corridoio, ogni angolo è carico di significati impliciti: foto strappate, stanze distrutte, letti disfatti e tracce di sangue raccontano storie di famiglie spezzate, di fughe improvvisate, di vite interrotte.

Questa scelta, tutt'altro che banale, permette di costruire un universo narrativo denso e suggestivo, dove il giocatore diventa al tempo stesso esploratore e narratore. Alcuni momenti restano impressi: il rantolo sommesso che si trasforma in urlo dietro una porta chiusa, o quella figura femminile apparentemente piangente trovata in una cameretta insanguinata. Sono frammenti inquietanti e commoventi, capaci di suscitare reazioni profonde, senza mai scivolare nel grottesco fine a se stesso. Un ottimo esempio di environmental storytelling ben riuscito.

 

 

Danza lenta tra la vita e la morte

 

Il gameplay di Into the Dead: Our Darkest Days si basa su un ciclo di esplorazione, sopravvivenza e gestione delle risorse. Il gioco chiede al giocatore di prendere decisioni critiche e spesso dolorose: chi mandare in esplorazione? Chi può permettersi di dormire? Chi sta cedendo psicologicamente? Il tutto mentre si affrontano missioni di recupero, attacchi notturni e momenti di puro panico.

 

 

Le meccaniche stealth sono il fulcro dell'esplorazione. Muoversi accovacciati tra i resti della città, scegliere i percorsi migliori, evitare i non-morti o eliminarli silenziosamente è un esercizio di tensione continua. Tuttavia, il sistema è ancora incoerente: le armi silenziose a volte funzionano alla perfezione, altre volte generano un allarme inspiegabile. La mancanza di indicatori chiari sul rumore e la visibilità dei nemici rende alcune situazioni frustranti più che difficili.

 

 

Il combattimento è l'aspetto più debole: legnoso, impreciso e sbilanciato. Alcune armi sembrano inoffensive, mentre altre sono troppo efficaci. L'usura degli oggetti è realistica, ma la rottura istantanea di coltelli o bottiglie crea squilibri che penalizzano soprattutto chi sta ancora apprendendo le dinamiche.

Il sistema di rifugi, sebbene concettualmente interessante, risulta a lungo andare ripetitivo e poco dinamico. Muoversi da un rifugio all'altro, gestire le risorse, affrontare assalti notturni è avvincente inizialmente, ma la ripetizione e la scarsa varietà di eventi rischiano di compromettere il senso di progressione. La microgestione è eccessiva, e manca un sistema più intuitivo per impartire comandi rapidi al gruppo.

 

 

Uno degli elementi più riusciti del titolo è senza dubbio la gestione dei personaggi. I sopravvissuti non sono eroi d'azione, ma persone comuni: meccanici, infermiere, commessi, impiegati. Ognuno con tratti unici, punti di forza e debolezze. La loro umanità emerge non solo nelle statistiche, ma nei gesti, negli sguardi, nei silenzi. La dinamica permadeath accentua il valore delle loro vite, e le scelte diventano dolorose: lasciare indietro un compagno ferito, o rischiare tutto per salvarlo? La gestione psicologica è un altro aspetto affascinante, anche se al momento solo abbozzato. Il potenziale narrativo è enorme, e basterebbero poche animazioni contestuali o scambi di battute per dare loro ancora più spessore. Una base eccellente su cui costruire.

 

 

Il comparto audio poi è un vero gioiello. La colonna sonora ambientale accompagna l'azione con discrezione, amplificando la tensione e sottolineando i momenti più intensi. I suoni ambientali sono curati in modo maniacale: il crepitio di un oggetto rotto, i passi ovattati su un tappeto impolverato, le sirene in lontananza, le voci spezzate dei non-morti. Tutto contribuisce a creare un mondo credibile e opprimente.

Anche il comparto visivo ha il suo fascino, sebbene rispetto alla demo iniziale si percepisca un leggero downgrade grafico. Alcuni effetti sembrano semplificati, la grana è meno presente e certi ambienti appaiono più piatti. Inoltre, le prestazioni non sono sempre stabili: anche su macchine performanti si verificano cali di frame e rallentamenti. L'ottimizzazione è una delle priorità per i prossimi aggiornamenti.

 

Non (ancora) il gioco dei vostri incubi, ma quasi

 

Into the Dead: Our Darkest Days è ancora in accesso anticipato, e questo si riflette in molti aspetti. Mancano eventi atmosferici, interazioni tra rifugi, una varietà maggiore di nemici e un sistema commerciale funzionante, nonostante si trovino oggetti chiaramente pensati per il baratto. La ripetitività è uno dei maggiori problemi: dopo le prime ore, il ciclo di gioco si stabilizza su una routine prevedibile. Anche la narrazione, per quanto atmosferica, rischia di perdere mordente senza una maggiore spinta narrativa o un sistema di eventi dinamici. Tuttavia, la roadmap è chiara, gli aggiornamenti sono regolari e il potenziale di crescita è enorme.

Il titolo ha già molto da offrire, e che può diventare qualcosa di davvero speciale. Le sue atmosfere, la cura ambientale, la gestione dei personaggi e il ritmo lento ma coinvolgente lo rendono una proposta unica nel panorama survival. Allo stato attuale, è un diamante grezzo, affascinante e spigoloso, che richiede pazienza e dedizione. Ma con il giusto supporto e ascolto della community, PikPok ha tra le mani un titolo che può lasciare un segno profondo nel genere survival zombie.

 

 

 

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