Cari lettori, prima di tutto buona Pasqua. Questa recensione l’ho scritta a causa di impegni familiari a più riprese, pertanto speravo di farla uscire proprio per il giorno delle uova di cioccolato… Se non fosse che l’uscita ufficiale del gioco è stata rimandata al 22 Aprile, pertanto vi beccate il tradizionale coniglietto pasquerelloso a posteriori.
Dunque, auguri in ritardo e bentornati ad una nuova recensione noldoriana… E quale occasione migliore di “Steel Seed” (no stavolta l’abbreviazione con le iniziali non mi pare proprio il caso) per leggere l’opinione spassionata che un romano possa avere di un gioco made in Rome (Storm in a Teacup che ne è sia lo sviluppatore che l’editore ha infatti sede nella Capitale), anche perché come ben saprete, noantri daa Capitale siamo POCO fan di tutto quello che “gioca in casa”…
Steel Seed ci aveva colpito già con i primi trailer per le sue atmosfere tecno-distopiche, un’ambientazione governata da macchine e l’umanità al limite della sopravvivenza. D’altronde con queste storie ci siamo cresciuti e perlomeno per quanto mi riguarda, le ho sempre trovate intriganti: da Matrix a Cyberpunk, i mondi decadenti in cui le macchine hanno preso il sopravvento e l’essere umano lotta per rimanere rilevante sono sempre – a mio avviso – stati affascinanti.
Se avrete la pazienza di arrivare a fine articolo, leggerete che purtroppo, quello che sembrava essere un grande punto di forza diventa presto un limite, poiché le ambientazioni, pur visivamente coerenti con il concept, risultano l’unico vero punto di forza (e in cui si vede il buon lavoro fatto dal team di sviluppo) del titolo.
Uno stealth platform derivativo e poco coinvolgente
Steel Seed è di fatto un platform 3D: bello saltare, arrampicarsi, aprire porte, ecc… sono tutti tratti che conosciamo e a cui siamo affezionati dagli anni ’90 a partire da Tomb Raider e, malgrado l’intenzione che si vede sicuramente, Steel Seed riesce ad essere poco altro. Dico malgrado l’intenzione perché ci sono meccaniche da gioco di infiltrazione, ma il gameplay stealth soffre di mancanza di profondità e non brilla di innovazione. Le meccaniche di base – come nascondersi, distrarre i nemici o hackerare determinati sistemi – sono funzionali ma tanto semplicistiche da sembrare quasi comprate in stock dallo store di Unreal Engine ed il gioco alterna fasi estremamente monotone di croftiana memoria a fasi altrettanto monotone di stealth / combattimenti.
I robot sentinella, i principali avversari, seguono pattern rigidi e spesso poco credibili, con un’intelligenza artificiale che alterna fasi di totale cecità a momenti di reattività eccessiva. Prendere due sberle da un robot segna il game over lasciando poco spazio ad un sistema di combattimento che poteva essere fatto senz’altro meglio (a mio personalissimo avviso, il drone gregario poteva o essere gestito in altra maniera o eliminato in toto). Il tutto risulta più frustrante che una sfida.
Le occasioni per approcci alternativi ci sarebbero anche, ma il gioco non incentiva realmente la sperimentazione, limitandosi a una struttura piuttosto lineare e ripetitiva. Anche i pochi momenti più dinamici, dove la narrazione prevede che l’azione prenda il sopravvento, finiscono per sembrare inseriti più per spezzare la monotonia che per reale coerenza con il gameplay. Per me il climax di tutto ciò è stata una sequenza (effettivamente davvero bella) di azione alla fine del primo capitolo della storia, al termine della quale mi aspettavo di dover affrontare un boss… e invece nulla. L’assenza di un ostacolo come un boss per come la vedo io è una scelta alquanto discutibile e tarpa completamente la ali al crescendo dell’azione.
Con il classico colpo al cerchio e alla botte devo però ammettere che il sistema di controllo con il gamepad è piuttosto ben concepito e non rappresenta uno di quei mal di testa che altri giochi invece mi hanno fatto venire.
Narrativa debole e personaggi dimenticabili
Steel Seed cerca di raccontare una storia con spunti interessanti: la relazione tra la protagonista e l’IA che le fa da consulente (e anche qui devo dare una stoccata: che senso ha coprire le parti intime di un’entità digitale il cui ologramma appare come un uomo nudo? Se proprio siamo a questi livelli di moralismo, una soluzione più elegante sarebbe stata farla asessuata o… non nuda), la tensione tra umanità e macchine, ma anche la possibile simbiosi.
Tuttavia, questi temi restano nebulosamente sullo sfondo, appiattiti da una narrazione che si sviluppa con lentezza e attraverso dialoghi decisamente poco incisivi e con un retrogusto di comicità mal riuscita. La protagonista manca di carisma, e anche la sua controparte robotica (il piccolo drone), che avrebbe potuto essere il motore di una dinamica alla “Portal”, si limita a commenti (che la protagonista deve interpretare per i videogiocatori) di lieve spessore. La sceneggiatura fatica a costruire momenti memorabili e il coinvolgimento del videogiocatore ne risente tanto che per quanto mi riguarda, io non sono riuscito a raggiungere la fine del gioco, nonostante la longevità si assesti intorno alle 8 ore.
Grafica e colonna sonora: i punti di forza
Dal punto di vista sonoro, Steel Seed si mantiene su una linea sobria e funzionale. Le musiche ambientali accompagnano l’azione senza disturbare, con una composizione incredibilmente ricercata, ma sicuramente organica e piacevole. Per il doppiaggio in italiano (la versione a cui ho giocato non disponeva di altre lingue) non posso fare lo stesso apprezzamento, con interpretazioni altalenanti che variano dal convincente al meccanico, senza mai eccellere davvero.
Le grafiche sono invece up-to-date e confesso di essere a volte stato fermo a guardarmi intorno ed osservare la maestosità dei paesaggi e degli ambienti enormi in cui spesso ci si trova. Non solo, ma devo togliermi il cappello di fronte ad un comparto che benché lasci spesso a bocca aperta, non esige una configurazione hardware importante per arrivare a buoni fps (segnalo comunque alcuni cali di fps e stuttering, ma ci tengo a precisare che io abbia giocato alla versione del gioco pre-launch, quindi non li valuterò nel giudizio finale). Eccellenti le transizioni da 3D a 2.5D e perfettamente in linea con i momenti di gameplay.
Scelta di stile, ammetto, che però io per gusto personale non gradisco tantissimo, sono le particelle pixellose di cui constano gli effetti di “fuoco” come ad esempio i jet del drone gregario.
Glitch & Co.
Quello che devo però considerare sono i glitch vari che spaziano da punti in cui è possibile arrivare fisicamente, ma dai quali non c’è via di ritorno se non quella del suicidio (che dopo un tot di volte ci farà tornare all’ultimo checkpoint) alle animazioni che non posso pensare siano state concepite per cut scene così brutali.
Ce ne sono parecchi altri, ma a mio avviso la menzione di (dis)onore va alle braccia allungabili alla “big Jim” (o era big gym?) le cui appendici anteriori scorrono correttamente nella direzione del cornicione a cui siete attaccati mentre il corpo rimane fermo in un punto. Per carità son tutte cose su cui è possibile passare sopra, specie se si tratta della versione di pre-launch, ma non sono mai stato così perplesso sullo stato di un titolo in fase di lancio come questo.
Conclusione
Steel Seed è uno di quei giochi che sembrano partire con le migliori intenzioni, ma che non riescono a trovare la loro strada. L’ambientazione futuristica, il tono filiosofico-riflessivo e la promessa di un gameplay stealth lasciavano ben sperare, ma il risultato finale è si catalizza in un’esperienza troppo grezza per emergere nel panorama di gaming attuale. Un’occasione sprecata, soprattutto perché le potenzialità soprattutto grafiche sono abbondanti. Il titolo è in programmazione di uscita il 22 Aprile e dovrebbe essere rilasciato sia per PC che per Xbox Series X ed S e Playstation 5. Ad oggi non ho informazioni sul prezzo, ma a meno che non sia in superoffertona megaspeciale, non mi sento francamente ed in tutta onestà di poterne consigliare l'acquisto a meno che non siate proprio ultrafan ipersfegatati.
5.7Voto KotaWorld.it9Grafica4Gameplay4Ottimizzazione